Aron Jhones (POV'S)
‹Che palle.› -fu quel che pensai.-
Sempre gli stessi volti. Sempre gli stessi ubriaconi che alzavano così tanto il gomito da dover essere sbattuti fuori. Sempre le stesse storie.
‹Invece di lamentarti, cambia posti.› -mi disse.-
‹Io non mi lamento.› -controbattei.-
Ero tornato alla mia vita. A quella vita senza regole, senza freni. Vita di svaghi e di scommesse. Di pericoli. Posti in cui dovevi coprirti le spalle stando attento a cosa o a chi ti potesse colpire da ogni lato.
In tre anni mi ero ricostruito tutto quello che avevo perso e lasciato, quì in Messico. Torreòn era molto grande, nessuno mi avrebbe potuto trovare quì. C'era talmente tanta gente a cui poter dare la caccia che di certo non si sarebbero potuti preoccupare di me.
Ero rientrato nel giro, e 'sta volta, ero ripartito da zero. Non era semplice entrarci, c'erano delle scale infinite su cui doversi arrampicare. In questo lasso di tempo ad ogni modo avevo fatto dei gran salti. Bastava agganciarsi. Farsi notare. Il rispetto e la paura erano la base, ed io ero sempre stato bravo in questo.
«Vuoi qualcosa, o hai intenzione di osservare il nulla ancora per molto?» -Feci scattare il mio sguardo torvo su di egli- ‹Come ha detto questo mentecatto?›
Gli ordinai uno shot.
Mi trovavo quì solamente perchè dovevo controllare una questione, sapevo che questo idiota stava vendendo della coca sotto banco. Mi era stato chiesto il favore di controllare. Non potevo permetterglielo.
-Lo guardai con attenzione- ‹Davvero un garzone del genere può avere un traffico tutto suo?› A guardarlo, io non sarei mai andato da lui. Aveva tutta l'aria di uno che te la vendeva mischiata al bicarbonato.
Mi sbatté il bicchierino davanti al naso. Che razza di modi erano?
‹Sta' calmo. Sta'-calmo.› -mi suggerì.- Presi un respiro profondo e buttai giù una parte del contenuto.
Sputai tutto.
Questo «Oye verraco, che fai?!
Mi puliì la bocca.
Esclamai a gran voce «Che cazzo è questa roba?! Vuoi per caso avvelenarmi?!»
Gli sguardi furono già puntati su di me.
‹Non dovevi farti notare, èh?›
Una mano serrò la superficie del bancone entrando a far parte della mia visuale.
«Ey, come osi trattare così l'hombre che ci serve da bere?» mi disse lento proprio a qualche centimetro dalla faccia.
Lo guardai ‹Che brutto muso.› «Sai...» sventolai una mano proprio fra di noi dopo essermi allontanato «La puzza della merda che ti fai servire da questo garzone si sentirebbe pure da dieci metri di distanza. Quindi, per favore, potresti girarti dalla parte opposta mentre mi parli?»
Mi afferrò la spalla «Culero de mier–..» «Quédate quieto José.» un altro più grosso di lui lo interruppe e questo mi mollò.
‹Chi è ora 'sta faccia da cazzo?›
«Sei fuori dalla tua zona inglese.» fu minaccioso il suo tono «Lo sai, vero?»
Non dovetti nemmeno voltarmi, avevo già inteso la situazione.
Mi trovavo circondato da un intera mandria di stronzi, ed ero solo. Non potevo permettermi di fare mosse troppo avventate.
A questo punto, o l'andava, o la spaccava.
«Sei fottuto.» ghignò.
Tirai fuori una sigaretta e me l'accesi.
«So che quì dentro c'è un certo giro di roba che uno dei grandi non controlla.» fiagai «E dovreste saperlo che certe cose non vengono viste di buon'occhio, o no?»
Se la rise.
«E saresti stato mandato tu? Pure da solo tra parentesi?» sghignazzò e gli altri a seguito ‹Sì, sì. Ridete pure branco di imbecilli.› «Se il tuo capo non vede di buon occhio–..» «Oh, no no.» fu mia la volta di ridermela «Nessun capo. Solo un favore.»
Perchè quà era così. Un favore, per un favore. Un cambio, per un ricambio.
«Hai sbagliato a venire quì da solo.» mi disse uno fra loro.
Buttai la sigaretta a terra, il garzone mi lanciò un'occhiata omicida.
«Ey ey, no.» negò col dito «Si rispetta il territorio altrui. Dovresti ben saperlo.»
Ne tirai fuori un'altra.
«Dovresti chinarti per raccoglierla.»
Me la misi fra le labbra. E l'accesi. Fiagai, e nel farlo, la cenere cadde sul pavimento.
‹Cosa intendi fare? Peggiorare la situazione?›
‹Eddai, non mi conosci? Sono il migliore in questo.›
Non feci quasi in tempo a finire di formulare i miei pensieri che fui sbattuto con la schiena contro alla superficie del bancone con i suoi due metri a torreggiarmi addosso.
Mi stava stritolando il maglioncino in una morsa, voleva sgualcirmelo? Mi sarei arrabbiato abbastanza in quel caso, perchè lo avevo pagato parecchio.
«Lo entiendo, lo entiendo.» alzai le mani in segno di resa «Ma sta' calmo.»
Ciò non bastò a fargli mollare la presa.
‹Ti piace proprio giocartela così è?›
‹Sì, abbastanza.›
‹Dovresti prestare più attenzione a quello che fai.›
‹Sì, forse.›
E gli dissi «Se mi lasci pulisco.»
Così, mi lasciò e potei rimettermi composto.
Mi alzai dalla sedia con cautela.
Fiagai «Ops, si è spenta.» l'osservai.
«Smettila di giocare.»
Fu ciò che mi arrivò all'orecchio mentre mi stava puntando una pistola nel costato.
‹È adesso? È?! È?! Che vuoi fare? Dai, dimmi dimmi dimmi. Dimmi!› -quella stupida vecchia parte di me che perdeva il controllo si fece sentire.-
Chiusi gli occhi per due secondi e presi una bella boccata d'aria.
«Ha sentito conchuda?!»
-Inspirai- ‹1,2, 3, 4, 5.› -ed espirai.-
«Voglio prima fare un brindisi.» sparai fuori ‹Un brindisi? Questo ti viene in mente? Di fare un brindisi?›
L'energumeno che mi stava davanti mi guardò nella maniera che tanto odiavo.
‹Christian.› -e quel nome mi colpiì forte in testa.-
«Un... brindisi?» ripeté.
«Alla sconfitta di Aron Jhones.»
Intravidi qualcuno sussultare.
Questo, se la rise «Avevo ragione!» ‹Oh, davvero?› «Sei proprio tu quell'inglese bastardo che pensa di poter fare i suoi giochi in un paese completamente diverso dal suo!» ‹Ma che divertente.› -inarcai un angolo della bocca.-
«Appunto.» gli diedi corda, mansueto.
Guardai poi il barista.
Chiesi «Potrei avere la bottiglia?»
Questo, rosso in viso, esclamò «Ascoltami bene fo–..» «Andiamo.» venne interrotto «Perchè no?»
Con riluttanza me la passò e diede un bicchierino pure a lui, ne versai per entrambi. Presi lo shot con una mano e lo tirai su.
«Alla vostra!»
Me lo portai alle labbra.
«Avanti, pulisci.» mi intimò chi ancora mi stava puntando l'arma addosso.
Alzai un dito in aria, raccattai l'accendino che avevo abbandonato sul bancone e avvicinai alle labbra la sigaretta spenta che ancora tenevo nell'altra mano. Feci girare la rotellina e una fiammella prese vita.
Gli sorrisi, sornione. ‹Non mi inchinerei mai a voi.› -dissi fra mé e mé- ‹Ed ora, brucia.›
Accadde tutto in un attimo.
La sigaretta spenta cadde sul pavimento. In un secondo presi la bottiglia fra le mani e gli buttai il contenuto addosso. Lasciai la presa, questa cadde a terra, rompendosi in frantumi, e gli sputai addosso quello che ancora avevo in bocca tenendo sempre viva la fiamma del mio zippo.
‹Hai voluto giocare col fuoco?› -sorrisi, perfido- ‹Ora, scottati.›
Mi diressi fuori dal locale con addietro le sue grida e quelle di chi gli stava appresso.
Erano le 21:30 di sera.
Erano almeno venti minuti che non mi rispondeva.
«Jhones, sei tu? Scommetto di sì.» disse irritato quando rispose.
«Alla buon'ora.» gli feci presente «Ti avrò fatto dieci chiamate.»
Passeggiai avanti e indietro sul marciapiede illuminato dalla luce fioca del lampione.
«Non avresti dovuto tirare su un simile scalpore.»
«Be', sai. Dovevo liberarmi da una situazione.»
«Non ti era stato detto questo! Che cazzo ti è saltato in mente?! Dove credi di essere?!»
Allontanai il telefono dall'orecchio giusto un attimo. -Guardai male lo schermo, come se avesse potuto vederlo- ‹Con chi crede di parlare?›
Buttai fuori l'aria trattenuta «Un favore è un favore. Ti ho pure tolto un peso.»
Perchè era così che funzionava. Se andavi a chiedere qualcosa, dovevi restituirla, e se non la restituivi, ti veniva poi tolto più di quanto tu avessi chiesto.
«Sei fottuto Jhones, non aspettarti qualche favore in futuro da parte mia. Anzi! Vedi di stare ben lontano dalla zona!»
La chiamata venne chiusa senza che io potessi ribattergli.
Così andavano le cose. Se ti chiedevano di fare una mossa, e tu ne facevi un'altra o persino una in più, ti tagliavano fuori. Diventavi un qualcuno su cui non poter contare o a cui non poter chiedere appoggi a sua volta.
Sbuffai e poi varcai la soglia de El Foro.
*brzz brzz*
Il telefono mi vibrò in tasca.
*brzz brzz*
Lo presi in mano.
*brzz brzz*
Appena vidi chi fosse il mittente spensi lo schermo.
«Ey, tú, si quieres hacer un pedido hazlo rápido.»
Guardai il giovane barista. ‹Perchè oggi devo incontrare baristi a cui dover spaccare la faccia?› -mi chiesi mentre gli lanciai uno sguardo torvo.-
Io «Come?»
Questo in tutta risposta si mise a sbuffare «Aah! Inglesi.» ‹Come scusa?› «Se vuoi ordinare fallo in fretta.»
«Uno shot di Rum.» tagliai corto.
«Bianco o scuro?» chiese mentre armeggiava dietro al bancone.
Un altro uomo un po' più anzianotto fece capolino dalla porta lì affianco «Dios mío, Gustavo!» riprese il ragazzo, gli disse qualcosa in spagnolo «Va' va'.»
Fu lui poi a servirmi.
«Ciao Tomás.»
«Mio amigo!» esclamò «¿Qué pasa?»
Venivo quà da circa due anni, ero un cliente abituale, e poi mi conosceva.
«È un nuovo acquisto?» indicai il ragazzo di prima con un segno del capo.
«Oh, sì. È mio nipote.» mi rispose «Scusalo. È nuovo, non sa come ci si comporta sul campo.» gli diede un coppino quando gli passò dietro «¡A ver si puedes moverte!»
Buttai giù lo shot e lui mi mise la bottiglia a portata di mano così da potermi riempire il bicchiere da solo.
Si allungò sul bancone per avvicinarsi alla mia figura «So che c'è stato un'incendio al Veracruz.» ‹Ma come siamo informati.› -pensai con noia.- «Sai che così hai attirato la sua attenzione?»
Io commentai «Vedo che le voci girano molto in fretta Tomás.»
«Sì, e dovresti saperlo.» si fece poi serio in viso «Sanno che vieni quà, non vorrei che... Insomma, sai... È la mia vita questo posto. E–.. E–..» non terminò di parlare.
Capiì quel che volesse intendere «Tranquillo. Non vi toccheranno, puoi starne certo, non oserebbero.» gli assicurai «Erano pesci molto piccoli a cui nessuno poteva importare. Stavano solo dando rogne, gli ho fatto un favore.»
Cambiammo discorso, come se non ne avessimo parlato, iniziò a raccontarmi una delle sue barzellette terribili della sera.
Dopo l'ottavo shot decisi di dire basta, ero leggermente brillo, ma se avessi saputo che mi avrebbero fatto tornare sobrio in fretta a causa del nervoso mi sarei fatto molti più shot se non tutta la bottiglia. Perchè solo così avrei potuto sopportare la sua presenza nel mio campo visivo e la sua stretta ferrea attorno al mio gomito.
«Cosa cazzo hai combinato?!» mi piazzò il telefono davanti alla faccia.
Sullo schermo si vedeva chiaramente la notizia con il video annesso.
«Esta noche, a las siete y media de la tarde, alguien creó el caos en un bar de la calle C. Juan E. García cerca de Bosque Venustiano Carranza.» diceva.
Allontanò il telefono.
«E guarda cosa c'è scritto nel giornale!» me lo ripiazzò davanti, quasi me lo sbatté in faccia.
C'era una gran bella paginona sull'accaduto di qualche ora prima.
Lessi, tradotto:
L'INCENDIO DI VERACRUZ
Fiamme alte si scatenano in una delle vie più rinomate di Torreòn
Due uomini sono stati bruciati vivi, altri tre hanno ricevuto lesioni gravi, ed altri sette sono stati coinvolti nell'incedio. Due soli, illesi.
Non stetti a leggerlo per intero, gli diedi solo un'occhiata veloce.
Nicolas continuò a gridarmi contro «Per quale fottuto motivo devi sempre agire per i cazzi tuoi?!» ‹Ora brucio vivo pure lui se non la pianta di dare spettacolo.› «Sai come l'ho scoperto?!»
«No, dai, sentiamo.» gli dissi con noia mentre chiesi a Tomás di darmi un bicchiere più grande.
«Perchè Araldo mi ha chiamato!»
«Smetti di urla–..» «Hai sentito?! Coglione! Deficiente! Cretino! Idiota!» mi sparò un insulto addosso dietro l'altro «Ti rendi conto ch–..»
Lo trascinai con forza fuori dal locale e mentre ancora si dimenava lo portai in una via adiacente dove gli sguardi sarebbero potuti essere meno indiscreti.
«Ti rendi conto di quello che hai combinato?!» non fece altro che sbraitarmi addosso.
Gli tirai un ceffone.
Nicolas boccheggiò «T-tu... Come osi?!»
«Ne vuoi un altro?!» fu mia la volta di mettermi ad alzare la voce.
«Ti rendi conto che quello là adesso non ci vuole più aiutare? È?!» ‹Uff, dannazione.› «Perchè continui a farti nemici anziché amici?!» ‹Devo pensare. E questo non sta zitto!› «Lo sai vero che non siamo ancora posizionati come si deve?!» ‹Lo so lo so lo so! Lo so anche io.› «Abbiamo già abbastanza gente a cui stiamo sul cazzo, non siamo del posto, ed anziché farci degli alleati tu fai tutto il contra–..» «Lo so!» lo interruppi adirato «Ma non con quella stupida gentaglia scaleremo le classifiche, lo capisci?!»
«Ma anche "gente piccola" può essere d'aiuto!» controbatté lui.
Mi massaggiai le tempie «Vuoi saperne più tu di me di come funziona?»
«Oh, no, certo. Guai!» alzò le mani in segno di resa giusto per rendere chiara l'idea «Io che so come funzionano le cose più del grande boss Aron Jhones?»
«Smettila.»
«Ma assolutamente no! Anzi.» fece una specie di riverenza non dandomi ascolto «Mi inchino a così tanta pericolosità ed intelligenza.»
«Non sei spiritoso e se non ti tiri subito su ti arriva un calcio in faccia Kepler.» lo minacciai.
Tornò in posizione normale «Mi spieghi perchè hai agito per i fatti tuoi?!»
«Perchè–..» «Siamo una squadra!» ‹Una squadra?› -quasi me la risi fra mé e mé.- «Siamo costretti a lavorare insieme, che ti piaccia o non ti piaccia.» ‹Già. Giusto.› -pensai- ‹Purtroppo.›
Le nostre strade si erano intrecciate ancora una volta, ma 'sta volta, non avremmo potuto separarle. Volevamo la stessa cosa e l'unica soluzione sul da farsi era stata metterci a lavorare insieme. Ne eravamo obbligati. Senza il volere né dell'uno, né dell'altro.
Nicolas «Hai capito testa di cazzo che non ti puoi muovere da solo?!»
Ed io «A chi hai dato della testa di cazzo?!»
Anche se ovviamente non facevamo altro che discutere, litigare, pensarla in modi diversi e chi ne ha più me metta.
Non eravamo mai andati d'accordo sui metodi di uno o dell'altro. Lui quando agiva lo cercava di fare con discrezione e preferiva far spostare gli altri mentre se ne stava al comando. Aveva sempre bisogno di manforte. Io agivo senza pensare, senza piani. O quando li avevo poi si rivelavano pieni di falle. Partivo e basta e svolgevo io stesso direttamente il lavoro sul campo. Così mi piaceva fare. Questo era il mio modo.
Io rompevo e lui cercava di riparare. Così andava tra noi, questo era l'equilibrio pur se sempre precario.
«Jhones, siamo due persone che vogliono la stessa cosa.» mi disse oramai calmo «Non possiamo permetterci mosse a discapito dell'altro.»
«Lo so.»
Gli voltai le spalle.
«Se lo sai perchè lo fai lo stesso?!»
Mi urlò a dietro.
«Lo sai che così non andremo avanti?!»
‹Lo so! Lo so! Lo so! Cazzo, lo so!›
Mi affiancò.
«Non ho intenzione di continuare a lavorare con te se è così che ti devi comportare.»
Io dissi irritato «Lo so.»
Nicolas «E vedi di guardarmi quando ti parlo!»
Mi afferrò. ‹Adesso basta.› Mi voltai.
Lo avevo attaccato al muro.
«Ora questa tua irriverenza mi ha fottutamente scocciato.»
‹Il controllo, Aron. Il controllo.› -mi ricordò.-
Perchè era di questo ciò di cui ora vivevo. Di controllo. Il controllo di cosa e di chi mi stava attorno, e sopratutto, di me stesso.
Era un'arte che avevo appreso cara in questi tre anni.
‹Se hai controllo, hai la testa. Se hai la testa, fai le cose. Se fai le cose, vai avanti. Se vai avanti, non guardi indietro.› -mi dissi.- Era il mio motto personale.-
Dovevo controllare me stesso. Perchè, se avessi permesso a quel mostro di tornare, non sapevo come sarebbe potuta andare. Non sarei stato quì. Sarei finito solo nei guai. Mi sarei fatto male. E non avevo più la minima intenzione di ricadere in quei limbi senza fine dove non avevo idea dei movimenti che stavo facendo.
Sapevo che quella cosa dentro di me era ancora lì e quando ero solo un ragazzo non l'avevo mai contrastata e neanche avevo mai pensato a come farlo. Ai tempi non mi importava.
Perchè la rabbia, e l'odio, e il rancore, fanno sentire potenti. Ti danno adrenalina e forza. Non ti fanno soffrire, ti fanno correre e basta verso la meta senza che ti lasci deconcentrare da ciò che ti 'sta attorno.
Non volevo più essere così. Non volevo più essere stupido, non sapere quello che si sta facendo. Ora sapevo quel che volevo. Ero cresciuto. Ero maturato. Ero diverso da quello di una volta. Molte cose, erano cambiate in me.
‹Basta farsi divorare. Sii tu, a farlo. Metti il mondo sul piatto e mangiati tutto senza che esso lo faccia su di te.›
Ora tutto ciò di cui avevo bisogno era di controllo.
‹Somigli a lui più di quanto tu possa immagina–..› ‹No, sbagli.› -la interruppi. Ma, non potei darle così tanto torto.-
Negli anni mi ero accorto di quanto il modo di vivere pieno di controllo di mio padre alla fine non fosse poi così errato. Non avrei mai pensato che potesse mai far così tanto parte di me, che ero sempre stato il contrario. Avevo sempre odiato quel suo modo di fare. Ma ora, crescendo, lo avevo capito. E lo stavo usando. Lo avevo fatto mio.
‹E perchè hai deciso di fare tuo il controllo?› -ed eccola, la mia parte nera, la parte più fastidiosa. Quella impossibile da far tacere e difficile da tenere a bada.-
Sospirai rumorosamente.
‹Dai, avanti.› -continuò- ‹Quando?›
‹Quando tutto è andato a fuoco.›
‹Ah, davvero?› -disse ancora- ‹E perchè?›
Chiusi gli occhi. Respirai lento.
Nicolas si fece sentire «Mi lasci o no testa di cazzo?» lo lasciai andare.
‹Tu hai paura di non poterti controllare, ma come mai? Non te n'è mai importato.›
‹Sta' zitta.›
‹Non è spegnendo tutto che questo tutto non ti può far più male. Ne sei consapevole?›
‹Non mi fa male niente.›
‹Ah, no?›
‹No.›
‹Non starla a sentire.› -mi disse la coscienza sana.-
‹Tu vuoi il controllo, perchè se non lo avessi, staresti male.›
‹Cazzate!›
‹Stai calmo. Non ascoltarla.› -mi cercò di incitare.-
‹Cazzate, dici?›
‹Sì, cazzate. Enormi cazzate.›
‹Non sono cazzate mio caro.›
‹Senti ora ba–..› -mi interruppe- ‹È colpa sua. È colpa di lei.›
-Sapevo già dove avrebbe voluto andare a parate. Non glielo avrei assolutamente permesso- ‹Non c'entra niente.›
‹C'entra invece.›
‹Cazzate.›
‹Lei ha sfondato i muri della tua follia incontrollata ed ha giocato col tuo caos.›
‹Cazzate!›
‹Aron...› -mi riprese.-
‹Cazzate!›
‹Ora vuoi il controllo perchè solo così puoi pensare di poter frenare quelle cose che muovono i nervi ed il sangue.›
‹Cazzate!›
‹I sentimenti. Il controllo, dell'incontrollo.›
‹Cazzate cazzate cazzate cazzate cazzate cazzate cazzate cazzate cazzate cazzate cazza–..› ‹Aron, il controllo!›
Riapriì gli occhi di scatto.
Nicolas «A-Aron?» chiamò il mio nome «Sei ricaduto in trance. Lo hai fatto di nuovo.»
‹Dannazione.›
Guardai il bidone che ora si trovava riverso a terra.
«Stai bene?»
«Sì.» risposi «Mi serve solo uno shot.»